Furti in brolo. Emma.

05 Settembre 2021

A giugno iniziavano i furti in brolo. Con le ciliegie. Poi era la volta dei peretti di San Piero, le albicocche, le pesche, le prugne, le angurie, i fichi, e s’andava all'autunno con l’uva da tavola, mele, pere, cachi. Ma non mancavano noci e nocciole e persino melograni. Non era semplice arrivare in brolo senza essere visti. Il tratto scoperto più breve era quello tra il folto del parco e il cancelletto a confine tra quei due mondi, l’orto avventuroso e odoroso di frutta e il giardino romantico e piuttosto stucchevole. Il cancelletto non era alto, circa un metro e trenta, ma sempre chiuso a lucchetto e armato di punte ritorte a tridente di ferro battuto. Bisognava stare bene attenti di non lasciarci brandelli di pelle o, peggio, di stoffa dei calzoncini e della maglietta. Passato quel confine, se non si incontrava nessuno, uomini a dar acqua o a sfalciare l’erba (ma ci eravamo premurati prima che si trovassero altrove), ci fiondavamo a balzelloni sotto i ciliegi giganti e, zompati sui rami più bassi, come scimmie li scalavano tra le fronde cominciando a mangiar ciliegie a sbroffo, ridacchiando e sputando gli ossi in testa a chi saliva dietro. A gara cercavamo di raggiungere certi grappoletti succosi ben esposti al sole, lontani dalla portata, ma così invitanti su quei rami fragili, e ci si spingevamo sulla punta estrema dell’albero, sottile e oscillante al vento a dieci metri da terra, veri e propri esercizi funambolici, uno spasso. E quei frutti, conquistati al prezzo di graffi e sbucciature su gambe e braccia e striature verdi e marroni sui vestiti per le quali ci sarebbe stato un altro dazio da pagare - dove ti sei cacciato per conciarti in quel modo! -  quei frutti erano così buoni che ancor oggi ne percepisco il sapore, l’indelebile memoria delle papille gustative. 
Un occhio era sempre di vedetta all’ingresso laterale del brolo da cui, da un momento all’altro, avrebbe potuto arrivare la Emma. La Emma. Tutti i giorni raccoglieva la frutta di quel luogo magico, soleggiato e festoso. La riponeva in certi cesti di ferro intrecciato sul cui fondo aveva messo delle foglie di fico perché non s’ammaccasse. Frutta da servire fresca in tavola ai nonni. Emma era piccola, tozza, abito nero a puà bianchi minuscoli, come la livrea delle faraone, una specie di divisa permanente, i capelli grigi tirati sulla testa con la riga in mezzo e raccolti sulla nuca, il volto rugoso bello, con zigomi alti, gli occhi come fessure e sempre un sorriso sulle labbra. Intelligente e ironica - battezzava tutti con le sue , fedele e instancabile, in Villa dall’età di 16 anni, non s’è mai saputo di un amore o una qualche storia. Gestiva oltre al brolo anche il broletto con gli animali da cortile e faceva da balia ai bachi da seta che, appena nati e microscopici, racchiusi in un panno di cotone, nelle notti gelide teneva a letto al caldo ponendosi quel sudario brulicante sul petto. 
Quasi sempre la Emma arrivava in brolo mentre eravamo appesi a qualche ramo o famelici intorno a un albicocco o a razziare angurie o a mangiar peretti o fichi. Immobili ci zittivamo tra le fronde sperando che non alzasse gli occhi o ci appiattivamo nell’erba o dietro un tronco. Se ci vedeva gridava con un una certa veemenza, Ndè via, ladri, ghe o digo aea contesa, se o sa el conte ve copa… In un attimo eravamo a terra e filavamo a gambe levate sghignazzando. Ma a volte passava e non ci vedeva, o forse ci aveva ben visti, e se la rideva tra sé e sé, perché ci voleva bene e sapeva che non facevano un gran danno. Noi sgusciavamo via come spie e ci mettevamo al sicuro pensando di averla fatta franca.

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Furti in brolo. Emma.

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